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Mondo Libero #003
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Notizie dal mondo
Reazioni al conflitto Israele - Hamas
Lo scorso 27 ottobre l’Assemblea Generale dell'ONU ha votato e approvato una risoluzione tesa a stimolare il rispetto del diritto internazionale e la cessazione di tutte le violenze nella striscia di Gaza. Essa può dare un buono spunto, per quanto sicuramente insufficiente, per capire le prese di posizione dei principali protagonisti dello scacchiere geopolitico internazionale. Tra i 14 voti contrari non stupisce sicuramente quello degli Stati Uniti, che hanno espresso fin da subito appoggio incondizionato ad Israele. Meno scontata l’astensione dell’India, da sempre solidale alla causa palestinese. Spiccano poi, tra le 45 astensioni, quelle di ben 15 paesi comunitari e di 5 membri del G7. 120 i voti favorevoli, tra cui quello della Cina, ufficialmente neutrale ma con tendenze che si potrebbero definire anti-occidentali. Radicale la posizione della Turchia che addirittura riconosce Hamas quale gruppo di liberazione impegnato a difendere il proprio territorio. Risalendo poi il continente fino a Mosca anche la posizione del Cremlino si sta spostando sempre più a favore della causa palestinese, riscontrando apprezzamenti nel mondo arabo.
Accanto alle prese di posizione degli stati abbiamo assistito ad un incrementare di manifestazioni popolari, spesso, soprattutto nei paesi occidentali, con orientamenti radicalmente opposti a quelli assunti sul piano internazionale dai propri rappresentanti. I movimenti di protesta contro la posizione sostenuta dall’amministrazione Biden non sono di certo una novità, con Manhattan che è diventato il centro di continui movimenti universitari di protesta.
In Europa le manifestazioni hanno raggiunto il proprio apice il 4 novembre; a quella di Londra, tenutasi per il quarto sabato consecutivo, si sono infatti aggiunte quelle di Parigi, Berlino e Roma. I divieti a manifestare per ragioni di sicurezza pubblica, nonostante le centinaia di multe e decine di arresti, non sono serviti ad arginare il fenomeno. Solo a Francoforte e poche altre città qualche contenuto corteo a sostegno di Israele.
Nel frattempo aumentano le manifestazioni nel mondo arabo che, continuando ad alzare la voce, hanno costretto all’evacuazione del personale diplomatico israeliano dalle capitali di Egitto e Marocco. Una voce dirompente, in parte soffocata dai media, che sta portando fiumi di persone a scendere per strada. Da Beirut a Tunisi, dal Cairo ad Ankara, arrivando fino a Sana’a’, capitale dello Yemen, sono decine di migliaia le voci che invocano aiuti umanitari, anche minacciando violenza.
In uno scenario così caotico sicuramente risaltano le immagini di speranza che arrivano da Washington, dove la comunità ebraica si è riunita per chiedere la pace al posto della vendetta, o da Trieste, dove è stata organizzata dal vescovo, dal rabbino e dal presidente della comunità islamica, una preghiera interreligiosa, consapevoli che il dolore, al momento, accomuna qualunque fede.
Giacomo Tranchinetti
Uno sguardo all’Europa
La controffensiva ucraina secondo Valerij Zaluzhnyi
La controffensiva estiva ucraina non ha raggiunto i suoi obiettivi prestabiliti, e la situazione al fronte è tornata a ricordare uno stallo simile a quello della Grande guerra. I sostenitori occidentali dell’Ucraina sono tornati a parlare più o meno ufficialmente di negoziati con la Russia per mettere fine al conflitto. In questo contesto, si inserisce un’interessante intervista fatta dall’Economist al comandante in capo delle forze armate ucraine, generale Valerij Zaluzhnyi, in cui dà delle informazioni interessanti sullo stato del conflitto con dei velati riferimenti politici.
In primo luogo, si dice molto grato dell’aiuto ricevuto dai partner occidentali, sia in termini di equipaggiamento che di addestramento. Aggiunge, tuttavia, che quanto consegnato dagli Stati Uniti e dagli altri alleati occidentali non è semplicemente stato abbastanza per ottenere uno sfondamento o mandare in rotta le forze armate russe. Le forze armate ucraine sono state in grado di uccidere almeno 150.000 militari russi secondo il generale, un numero che avrebbe fermato una guerra contro un qualsiasi altro Stato (si tratta di circa 50.000 soldati in più delle attuali forze armate italiane), ma per Putin la vita dei suoi soldati ha pochissimo valore.
Anche l’addestramento e gli Standard NATO sono serviti a poco, poiché secondo i calcoli effettuati dalla leadership dell’esercito ucraino e i manuali dell’Alleanza in quattro mesi avrebbero dovuto raggiungere la Crimea, e invece si sono impantanati nelle linee di difesa russe. L’addestramento occidentale ricevuto dai soldati ucraini è infatti ancora principalmente volto allo svolgimento di piccole operazioni di guerra asimmetrica tipiche della guerra al terrore, mentre l’Ucraina sta affrontando una guerra convenzionale più simile ai tipici scontri della prima metà del secolo scorso. Proprio in questo senso, Zaluzhnyi afferma di aver ripreso un vecchio manuale scritto durante l’era sovietica dal generale Smirnov su come portare avanti le grandi manovre contro le linee fortificate, basandosi su esperienze della Prima guerra mondiale. Ciò che il generale ritiene importante è che la guerra non si consolidi in uno scontro di trincea, perché il numero di soldati ucraini potrebbe non bastare.
È senza dubbio un’intervista interessante dal punto di vista politico. Zhaluzhnij in Ucraina gode di un’altissima popolarità, ed è singolare che ammetta apertamente il fallimento della tanto attesa controffensiva, e che il numero di soldati a sua disposizione potrebbe non bastare a vincere la guerra. Questa intervista mette chiaramente in difficoltà Zelens'kyj, che ha invece recentemente annunciato che la controffensiva non è ad un impasse, ma che andrà avanti nonostante le difficoltà. Entrambi però mettono al centro della strategia offensiva la Crimea, ritenuto il punto debole del progetto imperialista di Putin. La guerra intanto continua.
Aurelio Pellicanò
Le questioni di casa
La riforma costituzionale del governo Meloni
Durante il Consiglio dei Ministri svoltosi in data 3 Novembre 2023, è stato approvato un disegno di legge con il quale il governo Meloni vuole arrivare all’elezione diretta da parte dei cittadini del Premier.
Con il primo articolo della riforma verrebbe abrogato il secondo comma dell’articolo 59 della costituzione secondo cui il Presidente della Repubblica può nominare come senatori a vita cinque cittadini che si sono distinti nel corso della loro vita nel campo letterario, artistico, scientifico e sociale. I cinque senatori eletti per ultimi resteranno in carica fino alla fine della legislatura, mentre invece il Presidente della Repubblica continuerà ad essere nominato senatore a vita alla fine del suo mandato.
Il secondo articolo invece prevede che il Presidente della repubblica potrà sciogliere solo una camera; per arrivare allo scioglimento di entrambe le camere servirà l’iniziativa del premier dopo una deliberazione delle camere. Ciò rappresenterebbe una grande limitazione degli attuali poteri del Presidente della Repubblica.
L’articolo 3 modificherebbe l’articolo 92(Il governo della Repubblica è formato dal premer e dai ministri, che costituiscono il consiglio dei ministri) proponendo l’elezione diretta da parte dei cittadini del premier, il quale rimarrebbe in carica per cinque anni. La votazione del premier avverrebbe su unica scheda elettorale e i candidati e le liste collegate al Premier vedrebbero asseganto un premio di maggioranza del 55% dei seggi( legge elettorale di tipo maggioritario). Il premier Meloni ha precisato che il premio di maggioranza potrà essere modificato nel corso dei lavori parlamentari e che potrebbe essere previsto anche un doppio turno di voto.
L’articolo 4 modificherebbe l’articolo 94, in questo caso il governo si presenta alle camere per ottenere la fiducia entro dieci giorni dalla sua formazione; se il governo non dovesse ottenere la fiducia il Presidente della Repubblica rinnoverebbe l’incarico al Premier di formare un nuovo governo, se anche in questo caso non ottenesse la fiducia il Presidente della Repubblica procederà allo scioglimento delle camere. Quest’ultimo caso è davvero molto difficile che si verifichi vista la percentuale elevata del premio di maggioranza. Il secondo comma dell’articolo 4 aggiunge un’altra comma all’articolo 94 precisando che in caso di caduta del governo il mandato per la formazione di un nuovo governo verrebbe conferito dal Presidente della Repubblica o al Premier eletto oppure ad un parlamentare delle liste collegate al Premier. Questa norma eviterebbe i cosidetti ribaltoni, permetterebbe ai parlamentari di sostituire il Premier senza modificare la maggioranza durante la legislatura (norma pensata per evitare governi con una maggioranza diversa da quella uscita dalle urne).
Luca Di Bello
Accordo Italia - Albania: una nuova Guantanamo?
Lunedì 6 novembre la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha annunciato la firma di un protocollo d'intesa tra Italia e Albania riguardo la gestione dei flussi migratori, suggellando il patto con una stretta di mano e con una conferenza stampa con il premier albanese Edi Rama. Dalle opposizioni si sono subito alzate critiche riguardo l'accordo, ma esso cosa prevede di preciso?
Si tratta di un documento di 9 pagine e 14 articoli che resterà in vigore per 5 anni, rinnovabili di altri 5 "salvo che una delle parti avvisi entro 6 mesi dalla scadenza l'intenzione di non rinnovarlo". Con la firma del protocollo l'Albania dà all'Italia la possibilità di utilizzare alcune aree del territorio albanese - il porto di Shenjin e l'area di Gjader - per realizzare due strutture dove gestire l'ingresso, l'accoglienza temporanea, la trattazione delle domande d'asilo e di eventuale rimpatrio degli immigrati, il tutto a spese italiane e sotto la giurisdizione del Belpaese; con impegno italiano a restituire le suddette aree a chiusura del protocollo. I centri avranno una capienza massima di tremila persone e vi saranno trasferiti i migranti che, a partire dalla primavera 2024, saranno messi in salvo da navi italiane -come quelle della Marina e della Guardia di Finanza, non delle ONG- , tuttavia saranno esenti dal suddetto "trasferimento" i minori, le donne in gravidanza e i soggetti vulnerabili.
La giurisdizione sarà Italiana, all'interno delle strutture vi opereranno personale, forze di polizia e Commissioni d'asilo italiani, ma l'Albania collaborerà con le sue forze di polizia per la sicurezza e la sorveglianza esterna dei centri: ciò significa che ogni controversia con i migranti accolti sarà comunque giurisdizione dell'Italia, che si fa carico di tutti i costi di costruzione e gestione delle strutture, del trasferimento dei migranti e dell'erogazione di servizi sanitari. Nell'intesa si legge che nei centri sarà assicurato il diritto di difesa, consentendo l'accesso a avvocati e ausiliari, e che l'Italia si impegnerà affinchè il trattamento all'interno dei centri potrà rispettare i diritti e le libertà fondamentali dell'uomo, conformemente al diritto internazionale.
Se la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni parla di "interlocuzione molto positiva" e di "opportunità per tutti", dalle opposizioni piovono critiche: "il governo ha alzato bandiera bianca in Europa e trova rifugio in Albania" commenta Azione, mentre Riccardo Magi di +Europa prevede che si creerà "una Guantanamo italiana". Tra le polemiche non vi è però alcun giudizio da parte dell'UE, una portavoce della Commissione Europea ha solo specificato che per ora sono stati chiesti alle autorità italiane i dettagli dell'accordo.
Cristiano Rosselli
La vendita (online) dello stabilimento Maserati
Qualche considerazione pare doverosa in merito alla decisione del Gruppo di Stellantis di vendere tramite un’inserzione online quello che era il fiore all’occhiello del genio di Sergio Marchionne che sarebbe dovuto diventare il nuovo polo del lusso dell’allora FCA per la realizzazione dei modelli Quattroporte e Ghibli.
L’aspetto più preoccupante legato allo smantellamento di Maserati è l’incapacità di compiere riflessioni adeguate sulla riconversione del tessuto economico e occupazionale di un territorio orfano di booster industriali come quello torinese, che non ha mai superato di fatto l’abbandono del settore automotive, e che, tralasciando gli anni post pandemia, ha registrato un trend economico stagnante per oltre vent’anni, a discapito di una regione, quella piemontese, a passo con le vicine Veneto e Lombardia.
Parliamo allora dell’elefante nella stanza: l’elettrificazione imposta dalla Commissione europea entro il 2035. Allora è palese che in Italia a nulla siano serviti gli incentivi finalizzati all’acquisto di vetture elettriche: la politica non si è mai mossa in modo attento e oculato, ma ha trascurato gli enormi impatti sociali di una transizione obbligata che la filiera dell’automotive non era pronta ad affrontare. C’è poi il discorso dell’aggregazione, che probabilmente rappresenta la tattica più realistica per affrontare la complessità del momento. È già accaduto con i produttori: si pensi alla fusione tra Fca e Psa, che ha dato vita a Stellantis. Ad esempio, il gruppo italiano Adler Pelzer, attivo nella progettazione e produzione di sistemi per l’isolamento termico/acustico dei veicoli, ha acquisito la divisione Acoustics and Soft Trim (Ast) dal colosso francese Faurecia.
Quanto alla mancanza di una seria politica industriale, non si può non menzionare l’assenza decisiva di Cassa Depositi e Prestiti e l’ingombrante peso mediatico della famiglia Agnelli, che ha reso molto difficile l’azione pubblica in tale settore. È realisticamente possibile invertire il trend di declino produttivo? Ci vorrà molto tempo, è sarà fattibile solo investendo in ricerca e sviluppo. Studiando e portando avanti programmi di formazione. E soprattutto partendo da serie politiche industriali che comprendano la necessità di acquisire maggiori informazioni circa le e-car e il processo di elettrificazione.
Stefano Calla
Notizie da libeRI!
L’ultimo lavoro della nostra redazione: Separazione delle carriere
Scuola di formazione: lunedì 20 novembre alle 18:30 ospiteremo la lezione di Alessandra Ghisleri su “Sondaggi e politica”
Vediamoci: sabato 18 novembre a Bologna dalle 17 presso il centro culturale Costarena per la presentazione del libro: "Giulio Andreotti - la politica di concretezza negli anni dell' apertura a sinistra".
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Grazie per la tua attenzione, prossimo appuntamento al 26 novembre.