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Mondo Libero #006
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Notizie dal mondo
I guai giudiziari di Biden e Trump
La procedura di impeachment, supremo strumento di check and balance del sistema costituzionale statunitense, è stata azionata dalla camera dei rappresentanti mercoledì 13 dicembre. I repubblicani, nonostante le riserve della frangia più moderata, sono riusciti a far passare con 221 voti, a fronte dei 212 contrari, la formale richiesta di impeachment nei confronti del presidente americano Joe Biden. Già a settembre in realtà l’ex speaker della camera McCarthy aveva lanciato l’inchiesta ma senza un voto formale; le indagini della commissione giustizia della camera, guidata dal deputato di estrema destra Jim Jordan, e dalla commissione di sorveglianza, presieduta dal deputato del Kentucky, James Comer, vanno quindi avanti già da mesi.
Il focus è su Hunter Biden, figlio del presidente. I sospetti di corruzione vengono infatti giustificati da presunti scambi di aiuti e profitti illegali con il padre, risalenti a quando quest’ultimo rivestiva la carica di vicepresidente nell’amministrazione Obama. 36.000 le pagine di documenti presentati e decine le ore di testimonianze raccolte e incluse nel fascicolo. Le prove? Ancora nessuna. Lo ammettono gli stessi repubblicani, affermando che con la messa in stato di accusa intendono solo avere maggiori poteri di indagine, favorendo così verifiche e trasparenza sul caso. Hunter si è nel frattempo rifiutato di deporre a porte chiuse, dichiarando di voler essere interrogato pubblicamente per evitare manipolazioni su quanto dallo stesso dichiarato.
Compatti i democratici additano la situazione, che il presidente in carica non si trattiene dal definire “sceneggiata”, come espediente elettorale in vista delle elezioni presidenziali del 2024. La deputata georgiana Greene non nasconde in effetti che, in virtù di ottenere chiarezza sulle vicende richiamate, il suo partito è disposto a far proseguire l’inchiesta fino ed oltre la campagna elettorale. Icastica la frase usata da Trump per incitare i suoi: “Loro lo hanno fatto a noi”.
Anche Trump ha però i suoi nodi da districare; infatti, al momento, non potrà comparire sulle schede elettorali in Colorado, già a partire dalle incombenti primarie. Ciò in applicazione della terza sezione del 14esimo emendamento della costituzione americana; con l’assalto a Capitol Hill, risalente al 6 gennaio 2021, viene infatti accusato di aver partecipato, incitandola e rivendicandola, ad un’insurrezione contro la costituzione. Tale causa, intentata anche in altri stati come Minnesota e Michigan, non aveva avuto successo davanti alla giudice Wallace in primo grado e nemmeno davanti alla corte d’appello. Tali decisioni sono però state inaspettatamente ribaltate dalla Suprema Corte del Colorado(con 4 voti su 7). Trump ha già dichiarato di volersi rivolgere alla Suprema Corte Federale(attualmente con 6 giudici su 9 di nomina repubblicana).
Nel frattempo l’ex presidente al posto che farsi travolgere dall’onda, la sta cavalcando. Inneggiando al complotto e alla persecuzione politica sta infatti incanalando tutto il malcontento antisistema, superando di diversi punti Biden nei sondaggi degli stati chiave.
Giacomo Tranchinetti
Uno sguardo all’Europa
L’allargamento dell’Unione a Est
La settimana scorsa il Consiglio Europeo, l’organo che riunisce i capi di Stato o di governo dei 27 Stati membri dell'UE, ha deciso di aprire i negoziati di adesione con l’Ucraina e la Moldavia e di concedere lo status di Paese candidato alla Georgia. Una decisione non scontata visto che molti temevano l’opposizione dell’Ungheria di Orban che aveva fatto intendere di voler impiegare il suo diritto di veto in quanto, a suo parere, l’Ucraina non rispetterebbe i parametri necessari per aderire all’Unione. Alla fine invece il premier ungherese ha deciso di lasciare l’aula al momento del voto, permettendo in questo modo di sbloccare la situazione.
La notizia è stata commentata positivamente non solo dai restanti 26 leader europei nonché dal Presidente della Commissione von der Leyen e dal Presidente del Consiglio Europeo Michels, ma anche dai diretti interessati a partire dal Presidente ucraino Zelensky che l’ha definita: "una vittoria per l'Ucraina e per tutta l'Europa".
Ucraina e Moldavia avevano ufficialmente fatto richiesta di aderire all'UE nel febbraio del 2022 in seguito all’invasione russa dell’Ucraina, e l’Unione aveva concesso loro lo status ufficiale di candidati nel giugno dello stesso anno. Da notare che anche la Moldavia vive con la Russia in casa che da anni sostiene la regione secessionista della Trasnistria il cui governo il 18 marzo 2014, a seguito dell'annessione russa della Crimea, ha chiesto l'adesione alla Russia. Per quanto riguarda la Georgia invece, che ha festeggiato la notizia dell'aver ricevuto lo status di candidato ufficiale con un'enorme manifestazione di piazza che ha coinvolto decine di migliaia di persone, aveva fatto richiesta di entrare nell’Ue a 3 marzo dello scorso anno. Tuttavia, prima di poter ottenere lo status di candidato, l'Unione ha evidenziato una serie di riforme sullo Stato di diritto e le libertà fondamentali da attuare prima di poter ricevere lo status.
Attenzione però, come si sarà intuito l’avvio dei negoziati, e ancora di più la concessione dello status di paese candidato, non comporta l’adesione nel breve periodo, anzi potrebbero volerci diversi anni prima che Kiev, Chisinau e Tiblisi entrino a pieno titolo nell’Unione. Questa decisione infatti apre ai negoziati di adesione che dovranno valutare se questi tre paesi rispettano effettivamente tutte quelle condizioni previste per poter entrare nell’Unione Europea.
Luca Bellinzona
Elezioni truccate in Serbia
Domenica 17 dicembre i cittadini serbi sono stati chiamati alle urne in un momento critico per la loro nazione. Il 2023 è stato infatti un anno caratterizzato da importanti proteste che hanno interessato l’intero paese a causa di due sparatorie, fra cui una in una scuola di Belgrado. A maggio è nato il movimento chiamato “Serbia contro la violenza”, organizzato dai principali partiti di opposizione, che si sono presentati poi alle elezioni in una omonima coalizione contro il governo attuale. Le proteste contro il governo del presidente Vucic, accusato di non aver fatto abbastanza per impedire la violenza e di non aver preso sul serio la situazione dopo le sparatorie, sono continuate fino a novembre.
L’altro grande tema che domina l’opinione pubblica riguarda invece il rapporto con il Kosovo, regione separatista di cui il governo di Belgrado non riconosce l’indipendenza. Si tratta di un tema molto caldo, ancora legato alle guerre che seguirono il crollo della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. La situazione si era scaldata già nel 2022, quando una norma varata dal parlamento kosovaro che imponeva ai cittadini serbi che abitano nel nord della regione (e che non riconoscono il Kosovo come stato indipendente) di dotare i loro veicoli di targa kosovara, multando chi non si adeguasse a tale norma, provocando anche le dimissioni di alcuni sindaci serbi della zona. La tensione si era alzata a dicembre, quando Belgrado aveva deciso di schierare l’esercito al confine con il Kosovo. Nel 2023 ci sono stati poi altri scontri, quando i serbi, chiamati a votare per sostituire i sindaci dimissionari, hanno boicottato le elezioni, causando la vittoria di sindaci di etnia albanese. Ciò ha causato altre proteste in cui è intervenuta la KFOR, la forza NATO di sicurezza schierata nella regione dai tempi della guerra, con il risultato di numerosi militari, anche italiani, feriti.
Le elezioni di domenica scorsa erano parlamentari, con Belgrado chiamata alle urne anche per le elezioni municipali. Il Partito progressista serbo (SNS), del presidente Vucic, è risultato vincitore in entrambe le elezioni. Nel parlamento ha ottenuto il 48,01% dei voti, mentre a Belgrado la lista vicina al presidente ha ottenuto il 39,98% dei voti. Il risultato è comunque stato contestato dalle opposizioni e, per la prima volta, anche dagli osservatori dell’Unione europea e dell’OSCE. Numerosi sono i rapporti di persone pagate in cambio della prova di aver votato per il Partito progressista, dipendenti statali minacciati di licenziamento se non avessero fornito tali prove, e nel caso dell’elezione locale di Belgrado si è pure assistito ad una scena abbastanza assurda. Nella Štark Arena di Belgrado è stata allestita una postazione elettorale “segreta” per far votare cittadini serbo-bosniaci portati a Belgrado in pullman. Quest’ultimo caso è stato documentato con numerose foto e video apparsi in rete, e ha causato molto sgomento in tutta la Serbia.
Nonostante i brogli, i risultati raggiunti dall’opposizione sono notevoli. La coalizione “Serbia contro la violenza” ha raggiunto il 24,36% di voti a livello nazionale, mentre a Belgrado il 35,5%. Considerando i brogli è un grande risultato, che ci mostra che la popolazione serba si sente sempre più vicina all’Europa e che il governo si trova costretto a ricorrere a queste misure per restare in carica. Le opposizioni hanno già cominciato a contestare i risultati alla luce dei brogli, e sembra che anche il 2024 sarà un anno segnato dalle proteste nel paese balcanico.
Aurelio Pellicanò
Le questioni di casa
2032: Odissea in Valle
In data 18 Dicembre 2023 a Chiomonte (provincia di Torino) sono cominciati i lavori nel cantiere del "tunnel di base" della Tav per la prima volta, dopo anni di attesa. In questa occasione ha partecipato anche il ministro dei trasporti Matteo Salvini per mettere il "cappello" da parte del governo all'inizio dei lavori, accolto da un presidio NO TAV per ribadire il loro "non benvenuto" nella valle piemontese.
Salvini ha presenziato per la firma tra TELT (società italo-francese incaricata di realizzare la tratta internazionale del tunnel) e la cordata di imprese che realizzerà la galleria fino all'imbocco di Susa. Riguardo il cantiere sappiamo che verrà costruito il tunnel di base del Moncenisio di una lunghezza pari a 57,5 Km di cui 12,5 in Italia scavando 10m al giorno per un periodo di ben 7 anni e mezzo con data di fine lavori prevista per il 2032.
Si tratta dunque di un'opera faraonica il cui progetto negli anni è cambiato più volte in quanto si inserisce in un contesto non facile per quel che riguarda i trasporti. Da poco è stato riaperto il Traforo del Monte Bianco a seguito di due mesi di lavori oltre al prolungamento delle tempistiche per il ripristino del Traforo del Frejus dopo la frana della scorsa Estate sul versante francese. Sicuramente quest'opera è da ritenersi utile e necessaria per il nord Italia e per tutta l'area italo-francese in termini di viabilità, commercio e transito di persone.
Vero è che la contestazione NO TAV è sempre stata legittima da parte dei residenti della valle, tavolta venuta meno e messa in secondo piano o addirittura in cattiva luce per colpa di gruppi anarchici del tutto estranei al territorio e al movimento NO TAV, capaci di compiere atti vandalici e di creare terrorismo verso i lavoratori del cantiere costretti a doversi difendere con la "militarizzazione" del cantiere stesso.
Salvini con l'incontro ha voluto dare lustro al governo attuale per meriti che forse non possiede a pieno. Il vicepremier dovrebbe ricordarsi che non sarà sicruamente lui ad occuparsi della gestione e della direzione dei lavori, ergo potrà continuare ad "amministrare" ed a cimentarsi in altre uscite pubbliche a favore di telecamera per affermare Sono abituato a mantenere le promesse che faccio!”.
Non ci resta dunque che aspettare il 2032 per poter salire sul primo treno verso Lione come nelle previsioni del nostro autorevole ministro dei trasporti Matteo Salvini.
Federico Audero
L’emendamento della discordia
La Camera ha approvato l’emendamento di Enrico Costa di Azione alla legge di delegazione europea che introduce il divieto di pubblicazione "integrale o per estratto" del testo dell'ordinanza di custodia cautelare. Una misura che le opposizioni, a esclusione di Azione e di Iv che hanno espresso voto favorevole, hanno definito come una norma "bavaglio". Insorta anche la Federazione Nazionale Stampa Italiana che ha chiesto espressamente al Capo dello Stato di non firmare il provvedimento.
In cosa consiste questo emendamento? La norma introduce “il divieto di pubblicazione integrale, o per estratto, dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”. Il testo originario prevedeva il "divieto di pubblicazione dell'ordinanza di custodia cautelare" fino alla conclusione delle indagini o dell'udienza preliminare, mentre nella riformulazione proposta dal governo si parla di divieto di pubblicazione "integrale o per estratto" del testo dell'ordinanza. In altre parole, l’ordinanza di custodia cautelare - che è il provvedimento con il quale i giudici formalizzano, su richiesta dei pm, una misura cautelare e che contiene diverse informazioni sulla vicenda giudiziaria - sarà pubblicabile solo dopo l’inizio del processo.
Qual è la posizione di chi si oppone a tale misura? Contro l’emendamento si è espressa (oltre alle opposizioni eccezion fatta per Azione e Iv) anche la Federazione nazionale della stampa italiana, che ha così dichiarato "Si tratta – ha sottolineato Costante – di un provvedimento liberticida non solo nei confronti dell'articolo 21 della Costituzione, ma anche nei confronti delle libertà individuali. È pericolosissimo che non si sappia se una persona viene arrestata o meno. E non è pericoloso solo per la libertà di stampa, è pericoloso anche per lo stesso destinatario del provvedimento di custodia cautelare in carcere". Sarebbe di fatto preclusa ai cittadini la possibilità di informarsi su provvedimenti giudiziari
Cosa sostengono i favorevoli? Secondo Costa limitare la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare darà maggiori garanzie alle persone indagate: ritiene che riferire testualmente il contenuto delle accuse in una fase così preliminare contribuisca ad aumentare la percezione di colpevolezza dell’indagato, quando invece di lì a poco il giudice potrebbe anche decidere che non ci sono abbastanza elementi per mandarlo a processo. Tra un’ordinanza di custodia cautelare e la fase centrale di un processo peraltro le accuse possono cambiare anche molto. Nelle ordinanze poi spesso vengono inseriti anche altri elementi, come intercettazioni telefoniche o altri aspetti della vita privata dell’indagato, che poi si rivelano inutili ai fini dell’indagine: se vengono pubblicate però quelle informazioni diventano di dominio pubblico, violando la privacy dell’indagato.
Stefano Calla
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