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Mondo Libero #008
La newsletter di libeRI!
Unirsi in Italia per unire l’Europa
Chiariamoci, non si parla di abbandonare l’occidentalismo, di cui anche noi siamo l’incarnazione; si parla, piuttosto, di costruire una via europea alle politiche globali. Volendo fare un parallelismo pop, potremmo affermare che se gli USA “vengono da Marte”, adottando un approccio più muscolare, allora l’Europa unita dovrebbe piuttosto “prendere spunto da Venere”. Il progetto di un’Europa federale non è nuovo: se ne iniziò a parlare già dalla nascita della CECA, nei circoli più europeisti, che vedevano nell’unità europea la risposta alle nuove sfide globali. Possiamo dire, senza paura di sbagliare, che tutto il processo di integrazione europea contenga in sé il germe del federalismo. Tantissimi sono i gruppi, i partiti, le associazioni ed i singoli personaggi da tutto il continente che hanno lavorato perché questo obiettivo venga raggiunto. E se il processo di integrazione pare oggi molto lento, se non addirittura fermo, è nostro dovere farci carico di questa impresa e rimboccarci le maniche e lavorare per i per il suo completamento.
Già Mario Draghi aveva sottolineato, in un’intervista al Financial Times nel 2023, che “o l’Europa agisce insieme e diventa un’unione più profonda, un’unione capace di esprimere una politica estera e una politica di difesa, oltre a tutte le politiche economiche... oppure [...] l’Unione Europea non sopravviverà se non come mercato unico”
Sicuramente, l’appello di Bonino può essere il primo dei punti cardine, ma non può essere il solo. È necessario che venga stipulato un programma comune e, di conseguenza, una lista unica in grado di dare voce a quell’Italia che crede a Renew Europe.
Trovi il comunicato completo sul sito di libeRI!
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Notizie dal mondo
I ribelli Huthi aggravano la crisi in Medio Orient
Nel contesto della guerra fra Israele e Hamas si sono inseriti presto anche i ribelli del gruppo sciita yemenita Huthi, minacciando da novembre la libertà di navigazione nel Mar Rosso con l’utilizzo di missili contro le navi israeliane o che commerciano con Israele. Nei fatti, tuttavia, gli attacchi dei ribelli sembrano essere indiscriminati, avendo colpito anche una petroliera russa. Questa situazioneha messo all’erta gran parte dei paesi, trattandosi di un punto cardine per il commercio mondiale legato al canale di Suez. Il gruppo si è reso noto nella Storia recente per lo scontro armato che li ha visti coinvolti contro il governo yemenita supportato dall’Arabia Saudita, e tale scontro va inserito nel conflitto per procura tra quest’ultima e la Repubblica islamica dell’Iran. Gli Huthi, anche visto il loro orientamento religioso, hanno fin da subito goduto del supporto di Teheran, che secondo alcune fonti li avrebbe riforniti anche dei missili utilizzati per i loro attacchi contro le navi nel Mar Rosso.
Nella notte fra l’11 e il 12 di gennaio, gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno lanciato una missione congiunta con l’obiettivo di distruggere i depositi di armi dei ribelli per eliminare il loro potenziale offensivo. Tale operazione, che è ancora in corso con raid ormai quotidiani, non sembra però aver demoralizzato il gruppo, che anzi continua a bersagliare le navi in trasferta per il Mar Rosso. In questo contesto vanno inseriti anche dei commenti espressi da esponenti del governo di Teheran. Il ministro della difesa, Mohammad-Reza Ashtiani, ha infatti elogiato i raid contro le navi dirette in Israele, pur rimanendo la linea del governo iraniano, espressa dal ministro degli esteri Hossein Amir-Abdollahian, che Teheran non supporta direttamente il gruppo.
Anche l’Europa sta pensando alla sua missione nella regione. I ministri della difesa di Francia e Italia, in una conferenza congiunta martedì 16 gennaio, hanno auspicato la creazione di tale missione, coinvolgendo anche i partner della regione, con l’obiettivo di cominciare le operazioni il 19 di febbraio. L’autorizzazione a procedere è arrivata anche dagli altri stati membri dell’Unione, e non è ancora chiaro quali saranno i rapporti fra le forze navali europee e quelle anglo-americane schierate nella regione.
La situazione rimane comunque molto tesa e inevitabilmente collegata alla guerra a Gaza. Gli Houthi, che, come Hamas e Hezbollah, sono parte del cosiddetto “asse della resistenza”, la rete di guerriglie e milizie antioccidentali legate all’Iran in Medio Oriente, non sembrano per il momento intenzionati a cessare la loro campagna di attacchi missilistici nel Mar Rosso, e anche gli Stati Uniti e il Regno Unito per il momento continuano a bombardare, in attesa dell’arrivo delle forze navali europee a febbraio. La situazione nella regione non sembra pertanto destinata a placarsi.
Aurelio Pellicanò
Uno sguardo all’Europa
Plenaria del Parlamento Europeo
Questa settimana si è tenuta a Strasburgo la sessione plenaria mensile del Parlamento europeo. Tra i vari temi affrontati dall’Europarlamento una emerge prepotentemente, in quanto elemento di scontro tra l’organo e la Commissione europea.
Oggetto del confronto è stata l’Ungheria, che ancora una volta ha minacciato di bloccare gli aiuti finanziari che l’Unione Europea vuole stanziare per l’Ucraina. Il modus operandi magiaro è ormai conosciuto: minacce e veti contro gli aiuti europei, richiesta di ottenimento di nuovi fondi e ulteriore erosione dello stato di diritto nel paese, senza ricevere sanzioni, pena ulteriori veti.
La Commissione ha scongelato un fondo da 10mld€ per l’Ungheria, nonostante fosse condizionato: il paese, prima di ricevere la quota, avrebbe dovuto riformare ed allargare l’indipendenza del proprio sistema giudiziario. Non solo il governo Orban non ha accolto le richieste imposte per la ricezione dei fondi, ma ha anche minacciato che, se non fossero stati sbloccati, avrebbe posto il veto sul nuovopacchetto di nuovi aiuti a Kiev; lo stesso pacchetto che non fu possibile approvare a Dicembre a causa dello stesso paese.
Così la Commissione, pur di aiutare l’Ucraina, ha sbloccato i fondi per l’Ungheria. L'atto non è stato apprezzato dal Parlamento Europeo, che ha approvato una risoluzione nel quale si esprime preoccupazione per lo stato di diritto ungherese e amarezza per il passo indietro compiuto dalla Commissione.
Ma l’azione del parlamento non finisce qui: Petri Sarvamaa, eurodeputato finlandese del PPE (lo stesso partito europeo di Orban) da mesi si sta mobilitando per raccogliere le firme di suoi colleghi per chiedere di attivare l’articolo 7 del Trattato dell’Unione Europea, con il quale si toglierebbe il diritto di voto all’Ungheria, per via dei continui e sistematici tentativi di intaccare i valori di democrazia fondanti dell’UE.
Per attivare l’articolo 7, è necessario che il Parlamento europeo approvi una risoluzione, con la qualesollecitare la Commissione affinché approvi all’unanimità l’attivazione dello strumento.
Gabriele De Fazio
Le questioni di casa
Sull’Ucraina il PD si spacca
Mercoledì 10 gennaio, dopo le comunicazioni del Ministro della Difesa Crosetto sul proseguimento del sostegno militare all’Ucraina da parte del nostro paese, le Camere sono state chiamata a votare una serie di risoluzioni con cui i vari partiti, di maggioranza come di opposizione, impegnano il governo sul tema. Al momento del voto il Partito Democratico è imploso.
Dopo aver presentato una sua mozione in cui, pur senza citare direttamente il tema delle armi, si parla comunque di sostenere l’Ucraina in linea con gli accordi coi partner NATO e di lavorare per raggiungere quanto prima un cessate il fuoco, i dem si sono trovati a dover votare le mozioni presentate dalla maggioranza, dai centristi e dai 5 Stelle. Le prime due mozioni, del centrodestra e quella unitaria di Azione - +Europa - Italia Viva, si assomigliavano molto nei contenuti. Entrambe, infatti, partivano dal presupposto necessario di proseguire con l’invido di armi e materiale bellico a Kiev fin quando ce ne sarà necessario, una posizione ben rappresentata dal Ministro Crosetto che durante la discussione ha dichiarato: “Se la Russia smette di combattere scoppia la pace, se l’Ucraina smette di combattere muore l’Ucraina”. La mozione dei 5 Stelle invece, in linea con le loro attuali prese di posizione, oltre a chiedere una riduzione dei fondi alla difesa, impegnava il governo a interrompere la fornitura di aiuti militari all’Ucraina.
A seguito di una intensa discussione del gruppo parlamentare alla Camera, guidato dalla fedelissima di Elly Schlein Chiara Braga, il PD ha deciso di astenersi su tutte le altre mozioni al di fuori della propria, decidendo di fatto di non decidere. Scelta ancora più incomprensibile se pensiamo a come, di fatto, la mozione dei dem e quella del fu Terzo Polo con +Europa, si somigliassero a tal punto che i centristi hanno votato la loro mozione. Ma non tutti i deputati PD si sono accodati a questa decisione. Un piccolo gruppo guidato composto dall’ex Ministro della Difesa Guerini e dalle deputate Quartapelle e Madia hanno deciso per coerenza di votare a favore della risoluzione del Terzo polo e contro alcune parti (le risoluzioni sono state votate per punti ndr) di quella del M5S.
Proprio sulla scia di quanto accaduto alla Camera, al Senato, dove la mozione del Movimento 5 Stelle è stata preclusa e quindi non è stata messa ai voti, il capogruppo del PD Boccia ha accettato di dare parere favorevole alla mozione del Terzo Polo. Ciò però non è bastato a evitare ulteriori spaccature nel partito, con i senatori Casini, Parrini, Sensi, Malpezzi, Valente e Rojc che hanno votato a favore anche della risoluzione di maggioranza. Si distingue la posizione della senatrice ed ex Segretaria della CGIL Camusso che ha votato contro tutte le risoluzioni, compresa quella dello stesso PD, considerate troppo belliciste.
Se è vero che c’è sempre stato nel PD un confronto interno, alle volte anche molto duro, intorno all’atteggiamento da tenere sulla questione del conflitto russo-ucraino, è anche vero che, fino ad oggi, il PD era riuscito a restare compatto sul sostegno militare al Kiev. Che la segretaria Schlein abbia deciso di sacrificare questa fermezza sull’altare dell’alleanza coi 5 Stelle.
Luca Bellinzona
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