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Mondo Libero #009
La newsletter di libeRI!
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Notizie dal mondo
Tensioni negli USA: che sta succedendo?
Il Texas è uno degli stati di frontiera degli USA, barriera sulla quale vanno a sbattere i flussi migratori provenienti da sud. Questo perchè lo Stato della Stella Solitaria è da sempre una roccaforte repubblicana, ove da tempo vi è letteralmente una barriera: il famoso "muro" costruito nel 1993 e salito alla ribalta della cronaca successivamente alle dichiarazioni di Donald Trump nel 2016, durante la campagna presidenziale di quell'anno. Ma, di preciso, cosa sta succedendo in Texas?
Ebbene, tutto inizia quando la Corte Suprema statunitense stabilisce che le politiche di frontiera rientrano nell'autorità federale, togliendo così potere ai Texani e lasciando la patata bollente all'uscio della Casa Bianca a Washington D.C. Da Washington gli ordini sono chiari e ribadiscono l'assenza di autorità statale in merito alla questione: il muro deve essere smantellato e i migranti devono avere la possibilità di entrare. Greg Abbott, governatore repubblicano del Texas, rifiuta di obbedire rispondendo duramente al Presidente Joe Biden: “Di fronte all’invasione che il Texas sta subendo, lo Stato ha il diritto costituzionale di difendersi. Il Presidente Biden ha violato il suo giuramento di far attuare fedelmente le leggi sull’immigrazione emanate dal Congresso. Invece di perseguire gli immigrati per il reato federale di ingresso illegale, il presidente Biden ha inviato i suoi avvocati nei tribunali federali per citare in giudizio il Texas per aver intrapreso azioni volte a proteggere il confine”.
La questione si è però ingigantita: 25 dei 27 governatori repubblicani si sono schierati con Abbott, inviando membri delle rispettive Guardie Nazionali a difesa del muro al confine con il Messico: tra i tanti troviamo la Florida, il Montana, l' Oklahoma. La situazione è sicuramente grave, le tensioni sono tante e questa situazione mette in mostra i problemi del sistema statunitense, ove la Costituzione è purtroppo soggetta a troppe interpretazioni.
Cristiano Rosselli
Uno sguardo all’Europa
Gli agricoltori europei contro PAC e Green Deal
Nelle ultime settimane, gli agricoltori europei hanno manifestato il loro disappunto verso la gestione della Politica Agricola Comune e nazionale. In Francia e in Germania, le motivazioni di tale malcontento sono da ritrovarsi nei piani dei due governi volti ad eliminare gradualmente i sussidi sul carburante, in un'ottica di transizione energetica per la Francia e in una di equilibrio di bilancio per la Germania. A inizio mese, Berlino è stata quasi paralizzata da camion e trattori che hanno occupato uno dei suoi viali centrali. Sul piano europeo, le importazioni di prodotti dall'Ucraina e la ripresa dei negoziati per un accordo commerciale con il Mercosur, hanno generato lamentele per la concorrenza sleale in settori come quello dei cereali e della carne.
Tuttavia, ciò che sembra unire gli agricoltori europei è la valutazione negativa del Green Deal, l'insieme di iniziative politiche proposte dalla Commissione europea con l'obiettivo generale di raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050. Le nuove disposizioni, che l'UE ha già accettato di rinviare e di cui Coldiretti chiede la cancellazione definitiva, prevedono l'obbligo di destinare almeno il 4% dei terreni coltivabili a scopi non produttivi, insieme alla necessità di implementare rotazioni delle colture e ridurre l'uso di fertilizzanti di almeno il 20%.
I critici delle proteste affermano che gli agricoltori europei sono tra i settori più coccolati, con il 33% del bilancio UE destinatogli (European Parliament: The financing of the CAP), un corrispondente 1.3% di contributo sul PIL totale europeo (European Parliament: EU agricultural statistics: subsidies, employment, production 2021) ed una percentuale di occupati pari all'incirca al 4.5% del totale UE (Eurostat).
Nicholas Marchini
Il caso Salis e lo stato di diritto in Ungheria
Da dieci mesi una cittadina italiana è detenuta in attesa di giudizio in un carcere di massima sicurezza ungherese. Si tratta della 39enne milanese Ilaria Salis, accusata insieme ad altre persone di aver aggredito alcuni neonazisti recatasi a Budapest per il "Giorno dell'onore", ricorrenza che attrae ogni anno migliaia di estremisti di destra. Subito dopo l'aggressione le autorità ungheresi hanno compiuto alcuni arresti, tra cui anche Ilaria Salis la quale rischia ora fino a 16 anni di carcere. Ad aggravare la situazione pesa il fatto che le autorità ungheresi hanno aggiunto all’accusa di lesioni due aggravanti: aver potuto pregiudicare la vita delle vittime (nonostante gli aggrediti si siano ripresi nel giri di qualche giorno) e aver agito all’interno di un’organizzazione criminale. La giovane però, pur ammettendo di aver partecipato alle contro-manifestazioni pacifiche che si erano tenute durante la giornata, ha negato categoricamente di aver preso parte all'aggressione.
La detenzione in carcere è stata particolarmente dura, tanto che per i primi sei mesi le è stato vietato ogni contatto con la famiglia, che dal momento dell'arresto è riuscita a farle visita solo due volte. Salis ha inoltre inviato una lettera ai suoi legali in Italia denunciando la presenza nella cella di topi, scarafaggi e cimici dei letti, accusando inoltre l'assenza prolungata di carta igienica e assorbenti e lamentando il fatto che in più di una occasione le sia stata negata la cena. Tutte accuse rigettate dall'autorità carceraria ungherese che le ha bollate come bugie.
Ma se la questione è vecchia di mesi, come mai ne siamo venuti a conoscenza solo adesso? A far scoppiare il caso sono state le immagini pubblicate dai media italiani ed europei che hanno mostrato Salis portata in aula ammanettata mani e piedi e con un collare di cuoio a cui era attaccata una catena tenuta da un agente, una scena indegna a qualsivoglia civiltà giuridica. I legali della ragazza hanno più volte fatto richiesta che Ilaria venisse giudicata in Italia o che le fossero concessi i domiciliari in attesa del processo, ma le loro richieste sono sempre state rigettate. I familiari di Ilaria hanno anche dichiarato di aver più volte tentato di raggiungere le autorità italiane scrivendo al Presidente del Consiglio e ai Ministri degli Esteri e della Giustizia, senza però ricevere risposta.
Il silenzio e il disinteresse di questa maggioranza, culminato nell’atteggiamento della Lega che davanti a queste scene raccapriccianti ha attaccato la ragazza, fanno storcere il naso. Non solo per il legame di amicizia tra Meloni e Orban culminato nella decisione di accogliere dopo le europee il partito del Premier ungherese nei Conservatori e Riformisti europei, ma anche e soprattutto se messa a confronto con la vicenda dei marò di qualche anno fa dove la destra compatta si schierò per il rientro a casa dei nostri militari.
Luca Bellinzona
Le questioni di casa
Piano Mattei: una scatola vuota per l’Africa
Si è concluso la scorsa settimana il vertice Italia-Africa, incontro che nelle intenzioni del Governo Meloni avrebbe dovuto rilanciare le relazioni tra il Belpaese e l’Unione africana, attraverso investimenti mirati in alcune infrastrutture chiave per i paesi rappresentati dal presidente Faki.
Protagonista di questo programma di collocamento è il Piano Mattei, bandiera portata avanti da Fratelli d’Italia fin dalla nascita dell’attuale governo. Il progetto, che richiama il nome del grande imprenditore italiano, consiste nello stanziamento di 5.5mld€ che dovrebbero aiutare alcuni paesi africani nello sviluppo di impianti energetici e logistici, con l’idea non solo di dare slancio alle economie emergenti del continente, ma anche con il proposito di limitare le cause del fenomeno migratorio.
In questa operazione, l’Italia non dovrebbe essere da sola: il fondo da stanziare infatti sarà aperto alla partecipazione di privati e altri soggetti, tra i quali potrebbe anche figurare l’Unione Europea, caldamente prospettava dal nostro governo.
Eppure, nonostante la lunga preparazione che precede la presentazione della scorsa settimana, diverse sono le criticità emerse prima ancora che il Piano Mattei possa essere attuato. Per iniziare, la scarsità dei fondi: 5.5mld€ non sono così tanti come potrebbe sembrare, soprattutto se questi devono essere divisi in diversi investimenti tra paesi differenti. Il problema si aggrava se si considera che, nel piano, non è prevista alcuna scansione temporale: non si sa, dunque, se i fondi saranno versati in una sola volta, se divisi in un certo periodo di tempo o se, più banalmente, saranno rinnovati nei prossimi anni.
Risolto il problema della scansione temporale della fornitura di investimenti, resta da capire come saranno spesi e con quale sistema di accountability. Anche in questo caso, non si sa come sarà controllata la spesa né è prevista alcuna forma di collaborazione con enti economici regionali o internazionali: un’operazione del genere richiede infatti un controllo ed una gestione delle risorse preciso, per evitare lo sperpero delle stesse. In questo caso, chiedere l’aiuto della Banca Mondiale o del Fondo Monetario Internazionale sarebbe stato più che opportuno. Anche coinvolgere la Banca Africana per lo Sviluppo avrebbe aiutato l’implementazione del Piano Mattei.
Ultima falla dell’operazione del governo Meloni è rappresentata da un inciampo diplomatico di non poco conto: come detto dallo stesso presidente Faki, l’Unione africana non è stata consultata nella preparazione del Piano Mattei; pertanto, i paesi africani si trovano nella condizione di accettare queste risorse senza poter esprimere anticipatamente quali possano essere i loro bisogni.
Le intenzioni enunciate col Piano Mattei, per quanto positive, trovano per ora scarsa applicabilità.
Gabriele De Fazio
Notizie da libeRI!
L’ultimo lavoro della nostra redazione: Jacques Delors: tra ricordo ed esempio per oggi
Leggi il nostro post sugli Stati Uniti d’Europa che trovi qui
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