Mondo Libero #010

La newsletter di libeRI!

La redazione della newsletter di libeRI! ha il piacere di presentare ai lettori ed agli associati una nuova categoria di notizie: il quarto d'ora accademico, dedicato alle news dal mondo universitario. Il filone, a differenza delle notizie internazionali, europee e nazionali, non sarà sempre presente, ma saremo pronti a portare all'occhio di chi ci segue tutte le novità del campo. Un grazie a voi ed un grazie a chi dedica il proprio tempo per la realizzazione di questo progetto. Buona lettura!

La Redazione

Notizie dal mondo

Cambio al vertice delle forze armate ucraine

Le tensioni fra il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelens'kyj e il suo capo di stato maggiore delle forze armate, generale Valerii Zaluzhnyi, hanno raggiunto un punto molto critico con il fallimento della controffensiva estiva ucraina. Il generale aveva già rilasciato un’intervista all’Economist a dicembre in cui contraddiceva la narrativa del presidente sulla controffensiva stessa, e su come raggiungere gli obiettivi si era rivelato molto ostico in alcune parti del fronte e proprio impossibile in altre. Già da quel momento avevano cominciato a circolare delle voci sull’intenzione di Zelens'kyj di sostituire il suo comandante delle forze armate. Tali voci si sono concretizzate l’8 di febbraio, con l’annuncio del presidente della sostituzione di Zaluzhnyi con il generale Oleksandr Syrskyi, già comandante della difesa di Kyiv e della controffensiva di Kharkiv nel 2022 e della difesa di Bakhmut nel 2023. 

Tale decisione non è stata comunque accolta positivamente da molti, in primis dagli stessi militari ucraini e poi dal governo americano. Zaluzhnyi è ritenuto “l’uomo del miracolo”, ovvero colui che davanti all’invasione russa avviata il 24 febbraio del 2022 non solo ha condotto un’ottima campagna difensiva respingendo i russi in svariati settori del fronte, ma è riuscito ad infliggere nel mentre pesantissimi danni alle forze armate di Mosca. Il sospetto è quindi anche che la mossa di Zelens'kyj sia dovuta alla popolarità del generale, che potrebbe avere prospettive politiche al termine del conflitto. Anche la scelta del successore sembra puntare verso questa ipotesi. Durante la battaglia di Bakhmut, Syrskyi si è trovato spesso in contrasto con il suo diretto superiore e in sintonia con il presidente, ed è quindi plausibile che Zelens'kyj abbia scelto di far ricoprire la carica di capo di stato maggiore delle forze armate a quello che considera come uno “yes man.”

La figura di Oleksandr Syrskyi non è però sicuramente riducibile a questo. Come abbiamo già visto, è un comandante esperto che ha già dimostrato il suo valore sul campo di battaglia, e a differenza di Zaluzhnyi è un militare la cui carriera comincia nell’esercito dell’Unione Sovietica. Nato a Novinki, nell’attuale Federazione Russa, Syrskyi comincia la sua carriera come ufficiale d’artiglieria, venendo schierato anche durante la guerra in Afghanistan, e trovandosi in Ucraina nel momento della dissoluzione dell’Unione Sovietica, scegliendo di diventare ucraino.

La scelta di Zelens'kyj è quindi sicuramente ricaduta su un ufficiale esperto con tanta esperienza alle spalle e che si trova spesso d’accordo con lui. Rimarrà ora da vedere la reazione della popolazione e soprattutto dei militari al loro nuovo comandante delle forze armate. A Zaluzhnyi è stato comunque chiesto di rimanere “a far parte della squadra”, conferendogli anche il titolo di “eroe dell’Ucraina.” Il quesito principale che rimane ancora aperto riguarda l’impatto che questa mossa avrà sullo sviluppo delle ostilità, e la risposta la vedremo solo con il tempo.

Aurelio Pellicanò

Uno sguardo all’Europa

Verso la creazione di un esercito comune europeo

Durante il suo ultimo comizio in South Carolina, Donald Trump ha lanciato una minaccia per la sicurezza del continente Europeo: “Incoraggerei la Russia ad invadere i paesi della Nato che non spendono il 2% in armi e gli Usa non interverrebbero in loro aiuto”.

Queste dichiarazioni hanno riportato in auge in Europa il dibattito sulla questione riguardante la costruzione di un’alternativa alla Nato, ovvero l’esercito comune europeo. La provocazione di Trump non è stata gradita soprattutto dai paesi scandinavi più vicini geograficamente alla Russia, dal momento che essa può disporre di missili a lunga gittata all’interno dell’enclave russa di Kaliningrad non lontano dai paesi scandinavi e dalla Polonia e dalla Germania. Il ministro della difesa danese, Poulsen, sostiene che la Russia nei prossimi anni potrebbe attaccare un paese Nato per testare la solidità dell’alleanza atlantica, in modo da cercare di dividere l’alleanza. Anche i paesi baltici hanno mostrato la loro preoccupazione, poiché sono convinti che in un eventuale azione militare russa sarebbero i primi paesi lungo la linea del fronte.

Riguardo un eventuale attacco russo all’Europa, ci sarebbe un documento dell’esercito tedesco a prova di tutto ciò; non è un caso infatti che la spesa militare della Germania toccherà proprio il 2% del proprio Pil. Intanto il presidente russo Vladimir Putin gode di questa situazione e nonostante le rassicurazioni riguardo un attacco russo all’Europa, non rinuncia mai a lanciare minacce indirette nei confronti dei paesi Nato. Il progetto di Putin sarebbe quello di distruggere la Nato entro la fine del suo mandato, che dovrebbe essere nel 2036.

L’Unione Europea a partire dal 2020 ha avviato il progetto “Mobilità Militare”, il quale prevede una cooperazione tra gli stati membri riguardo le capacità di difesa congiunte, investimenti nell’ambito difensivo, sviluppo di armamenti. Ad evocare la nascita di un esercito comune europeo è stato ad esempio l’ex presidente della BCE Mario Draghi, seguito dall’ex presidente del consiglio italiano Matteo Renzi.

La situazione può essere sintetizzata in questo modo: per gli Usa la questione riguarda un ambito più economico (soprattutto per i Repubblicani), per l’Europa è una questione di tipo geopolitico ed economico dal momento che riguarda la sua esistenza come entità libera. Le lezioni che ci saranno nel corso del 2024, quelle Europee a Giugno e quelle Americane a Novembre, rappresentano uno spartiacque importantissimo per il futuro dell’occidnte.

Luca Di Bello

Eutanasia di coppia per l’ex premier olandese

Dries Van Agt, premier olandese dal 1977 al 1982, ed Eugenie Van Agt-Krekelberg, sua consorte, hanno scelto la via dell’eutanasia di coppia per abbandonare assieme la vita, letteralmente mano nella mano. All’età condivisa di 93 anni, di cui gli ultimi caratterizzati da pesantissime condizioni di salute, essi sono stati sottoposti a perizie mediche separate in conformità con la legge olandese; l’esecuzione congiunta della pratica, essendo stata rilevata l’insostenibilità senza prospettive di miglioramento delle loro condizioni, è avvenuta il 5 febbraio 2024. 13 le coppie ad esservi sottopostasi nel 2020, 29 nel 2022; un fenomeno raro ma in continua crescita nei Paesi Bassi.

Se nella monarchia parlamentare del re Guglielmo Alessandro si è raggiunto tale traguardo, condivisibile o meno, nel  resto del vecchio continente si scorgono scenari molto diversi e variegati. Prima di provare a farne un rapido sunto preme però rammentare le differenze che intercorrono tra suicidio assistito ed eutanasia. Nel primo il medico prescrive e fornisce un farmaco in grado di provocare la morte, poi assunto però personalmente dal soggetto interessato. Nell’eutanasia è invece il medico stesso a indurre al decesso il richiedente. Quest’ultima viene suddivisa ulteriormente in attiva, ove il medico ponga in essere una condotta, che solitamente si sostanzia in un’iniezione endovenosa, direttamente rivolta allo scopo morte, e passiva, quando si ha la sola interruzione del mantenimento in vita della persona(chiamata più propriamente interruzione dei trattamenti).

Nei paesi dell’Unione il dibattito su questi temi, nutrito quanto caotico, produce ancora scarsi e lenti risultati. L’Olanda nel 2002 è stata il primo paese europeo a legalizzare, prevedendone l’accesso a partire dai 12 anni, l’eutanasia attiva. Il Belgio ne ha prontamente seguito l’esempio,sebbene solo dal 2014 tale possibilità sia stata estesa anche ai minori, senza però alcuna età minima. Nel 2009 è toccato poi al Lussemburgo e nel 2021, su forte spinta popolare, alla Spagna(quarto paese in Europa e settimo nel mondo). Lo stesso paese iberico si era dimostrato all’avanguardia già decenni prima depenalizzando l’eutanasia passiva e il suicidio assistito già dal 1995. Quest’ultimo è ad oggi permesso anche in Olanda, Lussemburgo e Austria; solo tollerato in Belgio e Svezia. L’eutanasia passiva è invece stata depenalizzata anche in Ungheria, Germania, Svezia, Finlandia e solo parzialmente in Francia. La maggior parte degli altri paesi comunitari sono invece soggiogati da un continuo e cospicuo proliferare di iniziative mai realizzate, essendo così costretti a cercare, e talora trovare, spiragli nelle legislazioni vigenti, senza però riuscire ad innovarle. Dai ripetuti tentativi del parlamento Portoghese, alle sentenze della nostra corte costituzionale(su tutte la S. 242/2019 che ha parzialmente depenalizzato il suicidio assistito, su cui peraltro è appena stata emanata una delibera da parte del consiglio regionale dell’Emilia Romagna), uscendo poi dall’unione ed arrivando alle timide aperture della Gran Bretagna e allo stallo della Norvegia. La Svizzera infine ammette sia il suicidio assistito che l’eutanasia passiva, ma non quella attiva(diretta, l’indiretta è invece permessa).

Nell’Unione e nell’Europa stessa, come nel resto del mondo, si vede quindi dispiegarsi un ventaglio di situazioni legislative variegate; dall’estremo, più comune, della totale assenza di qualsivoglia normativa, all’opposto, dato dalla predisposizione della possibilità non solo di scegliere se morire, ma addirittura se farlo tenendo la mano della persona con cui si ha condiviso la vita.

Giacomo Tranchinetti

Il quarto d’ora accademico

Verso il voto fuorisere?

Il diritto di voto, diritto-dovere che per Costituzione spetta a tutti i cittadini, è tutt’ora paradossalmente non garantito appieno ad una significativa fetta di cittadinanza, ossia alle persone che, specie per motivi di studio o di lavoro, si trovano a condurre la loro vita in una città diversa dal loro comune di residenza: i fuori-sede. Questi soggetti infatti, per esercitare un loro diritto sono costretti a far ritorno a “casa”, spesso impiegando ingenti risorse in termini di tempo e di denaro. È dunque un problema, soprattutto se pensiamo che, laddove la maggior parte degli stati europei ha già ovviato a queste difficolta, il nostro paese fa ormai parte di una piccola minoranza incapace di stare al passo con i tempi.

Questa tematica è tutt’ora molto sentita, giacché dal 6 al 9 giugno 2024 saremo chiamati alle urne in occasione delle elezioni europee. In quei giorni dunque i fuori-sede potrebbero trovarsi costretti a dover tornare nei loro comuni di residenza, a meno che l’emendamento al Decreto Elezioni proposto da FdI non venga approvato.

Facciamo però un passo indietro. Per permettere ai fuori-sede di votare, in assenza di riferimenti normativi, sarebbe necessario un intervento ad hoc del Legislativo, il quale, trattandosi di una tematica complessa ed essendo ogni procedura legislativa di per sé lunga, non è semplice da ottenere. A dire il vero esiste “già” un d.d.l. in tal senso, in attesa di passare al vaglio dell’Assemblea, ma si tratta appunto di una proposta non ancora approvata, ed oltretutto di una legge delega: se questo atto entrasse in vigore entro la data delle elezioni Europee, esso non sarebbe comunque immediatamente applicabile, perché per sua natura necessita di un decreto attuativo che dovrà successivamente essere emanato dal Governo (del resto anche lo stesso ministro Piantedosi ha recentemente smentito la possibilità di varare una legge del genere in tempi ristretti). FdI tuttavia ha deciso di tentare di aggirare le lungaggini legislative, rendendosi promotore di un particolare emendamento ad un decreto già in vigore. A differenza del sopracitato d.d.l., la proposta del partito di maggioranza sarebbe infatti immediatamente applicabile e dunque più efficace per gli scopi che si vogliono raggiungere. Immediatezza e velocità tuttavia vanno a scapito di altre importanti caratteristiche: si permetterebbe sì ai fuori-sede di votare, ma si tratterebbe di uno strumento limitato sia dal punto di vista dei soggetti — è destinato ai soli studenti fuori sede — sia da quello dell’oggetto — non è una soluzione universalmente applicabile ad ogni tipologia di elezioni, bensì soltanto a quelle europee (essendo molto più complessa la procedura per rendere possibile questo meccanismo di voto anche per le elezioni politiche nazionali) — si tratterebbe insomma di uno strumento “tappabuchi”, studiato appositamente per consentire il voto alle persone che rientrino nella suddetta categoria in occasione delle elezioni europee p.v., e non dunque destinato a funzionare globalmente nel nostro ordinamento.

Quanto al contenuto dell’emendamento in discorso, si differenziano due situazioni: se lo studente fuori-sede si trova in un comune all'interno della stessa circoscrizione elettorale cui appartiene quello di residenza potrà votare nella città di temporaneo domicilio in una sezione elettorale apposita; nel caso in cui abiti invece in una città appartenente ad una circoscrizione diversa da quella del comune di residenza dovrà votare in una speciale sezione appositamente allestita nel capoluogo di regione, dove potrà esprimere la preferenza per i partiti e i candidati della circoscrizione in cui ricade il suo Comune di residenza. In ogni caso, chi fosse intenzionato a seguire questa procedura di voto dovrà presentare domanda al comune nelle cui liste elettorali è iscritto.

La nota positiva certamente c’è, perché questa proposta, seppur con le sue lacune — e sempre che trovi l’approvazione del Parlamento — permetterebbe alle centinaia di migliaia di studenti fuori-sede di esercitare senza troppi impedimenti un diritto-dovere che gli spetta legittimamente, riducendo così le distanze che ci separano dal voto ai fuori-sede universalmente garantito.

Giada Rosellini

Notizie da libeRI!

L’ultimo lavoro della nostra redazione: Il liberalismo come ideologia veicolata

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